venerdì 22 luglio 2016

Il jobs act è un ottimo affare anche per le casse dello Stato

E non solo per le centinaia di migliaia di neoassunti.

Nemmeno le parole del presidente dell' Inps Boeri sul successo avuto dal jobs act, ne hanno tacitato i critici. I quali, non potendo più contestare le centinaia di migliaia di nuovi contrati stabili che provano la bontà della legge, ora si aggrappano ai 10 mld. che, ad oggi, sarebbe costata alle casse delle Stato a causa degli incentivi alle aziende.
Ignoro donde abbiano tratto quella cifra, ma anche prendendola per buona, basta consultare sulle pagine del Mef le entrate tributarie del 2015, per accorgersi come quei soldi siano stati ampiamente recuperati.
Leggiamo:
<<Il gettito IRPEF, che si è attestato a 176.175 milioni di euro (+12.525 milioni di euro, pari a +7,7%), riflette
l’andamento delle seguenti componenti:
• ritenute effettuate sui redditi dei dipendenti del settore privato, 76.152 milioni di euro (+11.369 milioni di euro, pari a +17,5%)>>

Fonte 

Dei 12 mld e mezzo di aumento totale del gettito Irpef (rispetto al 2014), ben 11 mld. sono derivati dai dipendenti del settore privato! E questo grazie in massima parte ai neoassunti del jobs act.
E seppur diminuito a causa del rallentamento nelle assunzioni, dei 2.7 mld. in più di gettito Irpef tra gennaio e maggio di quest' anno (rispetto allo stesso periodo del 2015), 2.1 mld. provengono dal settore privato.
Ecco qua
<<Le entrate IRPEF ammontano a 71.281 milioni di euro (+ 3,9% pari a 2.703 milioni di euro) per effetto principalmente dell’andamento positivo delle ritenute da lavoro dipendente del settore privato (+ 6,8% pari a 2.140 milioni di euro).>>
Fonte

Perciò anche se fosse vero che la legge è costata in tutto 10 mld, ad oggi ne ha fatti incamerare 3 e mezzo in più allo Stato!

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Il jobs act è un ottimo affare anche per le casse dello Stato"
Ma non per i lavoratori.

IDATI DIFFUSI dall’Inps sulle pensioni liquidate raccontano meglio di ogni analisi
cosa è stato fatto al sistema previdenziale italiano - e ai lavoratori - con la riforma Fornero: praticamente nessuno, nemmeno chi ha 40 di contributi versati, riesce a lasciare il lavoro prima dei 60 anni.
I numeri raccontano una deriva i cui effetti si misureranno nei decenni: nel primo semestre 2016, dice Inps, le nuove pensioni liquidate sono state 189.851, con un calo del 34% rispetto alle 287.826 dello stesso periodo del 2015.
È la conseguenza dell’aumento della speranza di vita (4 mesi in più) scattato per tutti e dell’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia per le donne (18 mesi in più per le lavoratrici dipendenti e un anno per quelle autonome: rispettivamente 65
anni e 7 mesi e 66 anni e 1 mese).
Allo stesso tempo, si dimezzano gli assegni sociali (per gli anziani privi di reddito o con redditi bassi): da 25.939 a 13.912 (-46,4%) nel primo semestre.
Quanto all’età media, anche chi va in pensione di anzianità/anticipata (col massimo dei contributi) è ormai oltre la soglia dei 60 anni: nei primi sei mesi del 2016 infatti - secondo il monitoraggio Inps - l'età media totale di pensionamento (uomini e donne) è risultata essere, nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti, di 65,1 anni per la pensione di vecchiaia (come nel 2015) e di 60,4 anni per la pensione di anzianità/anticipata (era 59,8 anni nel primo semestre 2015).
Se non si va in pensione, peraltro, si resta al lavoro: ecco come si spiega in larga parte l’aumento di occupati vantato dal governo Renzi.